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Vita di Condominio al circolo Incontro
(Chiacchierata fatta al circolo degli anziani “L’Incontro” di Campobasso il 27/4/2011)

Il condominio, pur se termine antico, derivante appunto dal latino cum dominium, ha assunto importanza rilevante in questi ultimi due secoli; questo perché nella società moderna rilevante e complessa è divenuta la vita all’interno delle città.
San Girolamo nel suo Chronicon nell’86 a.C. scriveva “ descriptione Romae facta inventa sunt hominum CCCCLXIII milia”., quindi 463 mila abitanti contava la città eterna 2097 anni fa. E appena 20 anni dopo Lucano riferisce che Pompeo, chiamato a dirigere l’annona, nel ’57 a.C. seppe organizzare gli approvvigionamenti per 486.mila abitanti.
E’ ovvio che già da allora si poneva il problema dell’abitazione di una gran massa di funzionari, soldati, commercianti, per cui l’Impero romano era costretto a porsi il problema di regolare la vita cittadina, ponendo regole per la costruzione degli insediamenti e dettando anche norme di comportamento all’interno della stessa Urbs, ricca di 1782 domus e 46872 insulae, che ospitavano ben 700mila abitanti , come risulta censito dal Curiosum nelle statistiche tratte dai registri “Regionari” della seconda metà del secondo secolo.
Gli alloggi dell’antica Roma erano costituiti da domus e da insulae.
La domus era la casa dei ricchi, come i nostri villini; l’insula era l’equivalente dei nostri palazzi.
Le insulae erano costruzioni isolate, per l’appunto isole, da essa deriva l’odierno termine isolato,composto di più piani e alti anche più di 21 m. Al piano terreno c’erano i magazzini e le botteghe dette tabernae, le quali avevano un soppalco che costituiva l’abitazione dei più poveri o degli schiavi e dei liberti alle dipendenze dei padroni.
Ai primi piani abitavano i padroni o le persone più abbienti, come funzionari dello stato; ai piani altissimi la gente meno abbiente; all’ultimo piano i poveri e spesso erano anche adibiti a bordello. Gli appartamenti si chiamavano cenacula, i quali erano dati in affitto. Poiché la maggior parte di queste insulae erano di proprietà esclusiva dei Patrizi, difficilmente costoro vi abitavano, in quanto disponevano quasi sempre di lussuose domus.
Ai tempi di Augusto regnava una certa anarchia nella costruzione di questi complessi abitativi, per cui erano sorti dei veri grattacieli, ma a porre un freno alla anarchia edificatoria, provvedeva Nerone, sì proprio l’imperatore che era stato accusato di aver incendiato la città, il quale stabilì per legge che le insulae non potevano essere costruite con più di 4 piani. Il limite si rendeva necessario porlo perché i fabbricati spesso erano soggetti a crolli e incendi, con morti ,specie a danno degli inquilini dei piani alti.
Dopo di lui, Traiano stabilì che i piani potessero essere massimo cinque.
Alla fine del IV secolo le strade erano tutte affiancate da insulae e poiché Roma aveva superato il milione di abitanti, pur essendo poco estesa, immaginate quale fosse la confusione per le le strade e i vicoli delle insulae, per cui il legislatore pose mano anche ad alcune regole di comportamento civile, stabilendo anche che i carri che trasportavano le merci non passassero nelle ore in cui i loro rumori avrebbero disturbato il riposo degli abitanti.
Le insule venivano date in gestione ad un Amministratore con il quale il proprietario stabiliva un contratto di gestione:L’amministratore pagava al padrone l’equivalente del fitto degli appartamenti del primo piano ed il resto lo gestiva a suo comodo con l’onere di provvedere alla manutenzione dello stabile. Con questo tipo di contratto il proprietario si disinteressava dell’amministrazione, però l’amministratore faceva ottimi affari, poiché subaffittava le stanze a più persone o nuclei familiari, realizzando forti guadagni.
Finora abbiamo fatto un escursus per risalire all’origine del vivere in comune, ma non ancora incontriamo la comunione che è all’origine del condominio e questo perché abbiamo detto che le insulae appartenevano quasi sempre ad un solo proprietario.
L’uomo non è eterno e non può portarsi all’altro mondo i suoi averi, allora accadeva che alla morte del proprietario succedevano i figli , per cui l’insula veniva divisa tra più eredi e questo non sempre era possibile farlo in parti uguali, per cui la divisione veniva fatta pro quota divisa o per pro quota indivisa. Ecco che nasce la comproprietà, che assume le caratteristiche proprie simili a quella giunta ai tempi nostri.
La comproprietà, che attinge alle regole della comunione, prevede che tutti i comunisti, così si chiamano i proprietari della comunione, hanno gli stessi diritti di godere a modo proprio della cosa e parimenti possono opporre agli altri il diniego a fare certe cose da loro non condivise.
Ora immaginate cosa ne sarebbe di un edificio in cui hanno diritto su di esso cinque e più proprietari , specie se essi non sono d’accordo sul godimento o sulla necessità di riparazioni?
Sarebbe il caos e l’immobile finirebbe in rovina.
Poiché la proprietà ha una sua funzione sociale di rilevanza per la collettività, lo Stato non può restare insensibile di fronte alla insensatezza dell’uomo, per cui il legislatore ha previsto, nell’ultimo secolo, una serie di leggi, e, con l’entrata in vigore del nuovo Codice Civile, approvato con R.D. 16 marzo 1942 n.262 e pubblicato nella G.U. n°79 del 4/4/1942, di dare una legislazione ad hoc al Condominio, inserendovi regole importanti che lo governino: La divisione delle quote in millesimi, l’Assemblea dei proprietari, in cui essi proprietari sono rappresentati per la quota di proprietà a loro spettante, l’Amministratore,la cui nomina è obbligatoria quando i partecipanti sono almeno quattro, il Regolamento di condominio.
Attraverso questi elementi, il Condominio ha vita giuridica.
L’Assemblea nomina l’Amministratore e delibera sulle spese e sul godimento delle cose comuni; l’Amministratore rappresenta legalmente il Condominio e provvede alla manutenzione ordinaria e alla gestione delle spese occorrenti e lo rappresenta in giudizio nelle liti attive e passive.
Le funzioni, i limiti e le deliberazioni sono stabilite dagli art. 61 e segg. delle
Preleggi o Norme di attuazione al C.C. e dagli art.1117 e segg. del C.C.
Finora ho detto pressappoco che cos’è il Condominio, quale la sua storia. Ma non è questo il tema specifico di cui intendo parlarvi, ma la mia intenzione è quella di dirvi qualche parola su come vivere felici ( se così si può dire ) in un condominio, specie che negli ultimi tempi l’uomo ha perso la bussola, è divenuto più arrogante, più maleducato.
Spesso questa decadenza dei valori morali e civili si riversano proprio sui più deboli, appunto gli anziani, i quali a volte per cause da loro indipendenti sono più insofferenti alla maleducazione.
Ed allora è bene che si facciano delle riflessioni su come comportarci per vivere felici nel condominio e, se il caso, di come difenderci senza perdere la calma dagli attacchi degli arroganti, dai furbi, dai disonesti, spesso autori di soverchierie.
E vivere felici nel condominio è possibile, in quanto ci viene incontro per questo un andante biblico molto efficace: Non fare ad altri ciò che non vuoi si faccia a te.
Questo andante lo dobbiamo sempre tenere presente dentro di noi, ponendoci la predetta domanda tutte le volte che stiamo per fare una azione.
Chi si attiene fermamente a questo principio è una persona educata e potrebbe anche fare a meno della legge.
Ma poiché è impossibile avere un mondo di educati, i popoli hanno deciso di mettere al di sopra dell’uomo la Legge, la quale stabilisce regole di comportamento a cui devono uniformarsi tutti, nessuno escluso.
La legge stabilisce pure cosa si intende per buon padre di famiglia, a cui spesso essa si riferisce.

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