Presentazione
alla Biblioteca Provinciale “P. Albino”
di Campobasso il 17\\04\\2010 ore 16,30
di“Momenti”
Poesie di Pasquale Di Petta
(relatore Filippo Leo D’Ugo)
A– Preliminari del discorso:
Buona sera. Ringrazio l’amico dott. Pasquale Di Petta, per la presentazione del mio libro “Lo slancio di un sogno”, Albatros Il Filo Editore, Roma, 2009 e per avermi dato il piacere e l’onore di presentare questa sua opera di poesia intitolata “Momenti”, , Macerata, 2008, la nona da lui scritta in ordine di tempo.
Nella sua più che trentennale attività di scrittore il nostro autore ha pubblicato una trentina di libri, in media uno per anno, tra novelle, racconti, romanzi, poesie, argomenti storici e biografici, per cui, a chi desiderasse saperne di più sul suo conto, lo rimando alla lettura del libro intitolato “Annotazioni sugli scritti di Pasquale Di Petta”, nel quale l’autore ha raccolto tutto ciò che è stato detto e scritto da coloro che si sono occupati di lui (recensioni, dibattiti, articoli di giornali, interventi critici, incontri culturali, interviste).
B - Introduzione
Questo libro non è un poema che racconta una storia del tipo dell’Iliade, dell’Odissea o della Gerusalemme Liberata, ma una raccolta di poesie simile a un canzoniere. Sono 97 liriche che, naturalmente, non possiamo leggere tutte, considerato il tempo che abbiamo a disposizione.
Ve ne leggerò solo una dozzina per permettervi di avere un rapporto diretto con il suo estro, col suo stile e con il suo linguaggio poetico. Però, pur riconoscendo che ogni poesia ha un valore unico e un suo messaggio da trasmettere, dobbiamo dire qualcosa sul libro intero, considerato che esso, nel suo insieme, ha certamente un valore in più. Nel libro ci è dato cogliere la figura umana, l’anima di chi scrive, la sua cultura, i suoi valori, la sua fede, cioè la sua poetica.
La poetica, definita dal prof. Roberto Pasanisi una Weltanschauung, una visione del mondo (da Welt = mondo; anschauung = manifestazione), è una filosofia costruita non con lo strumento tipico della ragione rigorosa, dimostrativa, e della scienza ma con il linguaggio della poesia.
Perché? Perché, anche se l’autore sa benissimo quanto sia necessario nella vita avere la testa sul collo e ponderare ogni cosa con la ragione, riguardo alle grandi verità della vita, egli, e non è il solo, ritiene che la filosofia abbia dei limiti che non riesce a superare.
Anche Ugo D’Ugo nella poesia d’apertura del “Canto della ciavola” intitolata “Al di là” esprime lo stesso concetto là dove dice:
Invano con la mente \\ tento di infrangere \\ quel muro, donde \\ riverbera lo sguardo mio \\ al di là dello zigzagare \\ sulle cime innevate \\ dei monti. \\ Socchiudo gli occhi \\ ed affido al periscopio \\ dell’anima mia \\ svelarmi il perché \\ di questo infinito \\ andare. \\...
Non è alla mente, cioè alla ragione, ma al sesto senso dell’anima che affida l’onere di spiegare un problema così profondo e di così grande portata, perché solo l’anima sa innalzarsi al di sopra di quell’orizzonte, fino alle stelle, e vedere immagini anche solamente sognate, sentire armonie stupende, guardare la vita al disopra degli elementi contingenti, al di sopra di ogni limite, di ogni confine.
Quella del Di Petta non è solo manifestazione del suo spirito, voce autentica della sua anima, ma anche una poetica che pone al centro del suo pensiero l’uomo del nostro tempo, un uomo in continua lotta per cercare la sua strada, che deve munirsi di coraggio per superare i suoi ostacoli e per cercare di rimanere fedele a se stesso, ai suoi impegni civili e morali, alla sua fede, nella solidarietà con i suoi compagni di viaggio.
Inoltre è anche una poetica che mira all’educazione, al perfezionamento dell’individuo e della società.
Questo che dico non è una mia libera riflessione. Corrisponde a quanto lui ha manifestato nell’opera e negli incontri culturali che ha avuto da diverse parti come risulta dal libro sulle “Annotazioni” che vi ho consigliato.
Dunque per lui la poesia è prioritaria rispetto alla filosofia. L’autore distingue tra ragione, filosofia, scienza da un lato e arte, musica, poesia dall’altro.
“La poesia – dice - è capace più della ragione di penetrare nei meandri più reconditi dell’animo”. Questo atteggiamento è comune alla generazione degli scrittori postmoderni che hanno assistito al crollo delle ideologie del nostro tempo. Il nostro è un mondo in cui tutto è relativo e ogni capacità dell’uomo è segnata dal suo limite. Per lui la poesia ha ambiti unici, funzioni uniche: “è la più alta espressione della mente e del cuore dell’uomo, una forma d’arte che raggiunge profondità abissali. L’essenza della poesia penetra nel profondo delle cose e ci mette a contatto con il mistero e con il divino. Anche il nostro musicista e poeta Aldo Ricciardi nel suo meraviglioso CD intitolato “Segni nel tempo”, nel quinto brano musicale “Preghiera” ci rivela questo bisogno dell’animo del poeta di innalzarsi sino a Dio:
Vulesse vulà cumma a na palomma \\ p’arrevà ‘nciele, chiù vicine a Die \\ e notte e iuorne farle na preghiera \\ la creanza de sta terra n’ po’ muri.\\
La poesia dà forma ai sentimenti più profondi del cuore, scuote e illumina le coscienze aprendole al sentimento del divino.
Il verso ha un’acutezza che squarcia ogni verità, come un bagliore illumina il buio della notte.
La sua funzione catartica purifica l’animo del lettore, lo rende migliore, mentre quella sociale, solidarizza gli uomini, facendo sì che ognuno ritrovi il proprio vissuto e i valori che vorrebbe perseguire negli altri.
Il canto poetico unifica l’arte e la morale e insegna all’uomo a commuoversi per il dolore degli altri, a saper vedere se stesso nell’altro e, quindi, ad accettarlo e amarlo.
“Dove arriva la poesia – egli conclude - la ragione non può, non riesce ad arrivare.”
Anche nel manifestare il suo rapporto con il mondo il poeta Di Petta è coerente con quanto abbiamo detto. Egli decanta, esplicitamente, la bellezza del creato e l’armonia della natura e dice che esse incantano l’anima e riescono a farle dimenticare il tumulto epocale che dissemina il dolore nell’universo, ma è cosciente che questo non basta, che “il male non può vincere definitivamente sul bene”. Ed è proprio questa convinzione che gli dà lo slancio che lo riporta sulla giusta strada: “Sempre in cammino \\ sul filo della vita (pag. 43 di “Emozioni”).
Ottimismo e pessimismo s’incontrano in lui. Per lui più che la natura è l’uomo il più grande fattore del male del mondo, un male che tutti vorremmo che non ci fosse. Sente che l’uomo deve cambiare se vuole superare quel tumulto epocale. E allora occorre recuperare quei valori universali che sembravano perduti senza i quali si perde la rotta del proprio cammino e la poesia, che spesso è rifugio per gli uomini deboli, deve diffondere messaggi di speranza.
Il Di Petta, nel suo itinerario lirico, procede con una costante tensione morale e civile, come fa Giovanni Raboni (1932) nelle sue opere poetiche. Il nostro autore è sostenuto da una tensione religiosa che gli fa superare quello smarrimento, quella crisi, portandolo oltre la post-modernità. Pur portando le cicatrici di quel mondo, spezzato dalle grandi tragedie del nostro secolo, che si dibatte tra opposte ragioni per ritrovare il suo equilibrio, le sue ragioni di vita, egli si slancia con fede nella restaurazione di un mondo fatto di solidarietà e di condivisione degli autentici valori umani e cristiani.
Molti poeti e scrittori, compagni di viaggio del nostro autore, hanno avuto momenti di grande smarrimento. Basta citare ciò che dice Alda Merini (1931-2009) “Io non credo più nell’uomo…Dietro ogni libertà sospirata \\ c’è in agguato una belva.” Lei e il Giudici (1924), si sono rifugiati nell’ironia; altri, come Tiziano Rossi (1935), hanno ristretto il loro orizzonte tematico all’ambito dei rapporti familiari accontentandosi di rilevare l’eroismo che si cela nelle pieghe della quotidianità; Zanzotto (1921) ha cercato nel mondo pastorale quello perfetto che vagheggiava, riscoprendo la semplicità della vita serena e sincera del suo paese e la bellezza della lingua nativa, il dialetto. Il Di Petta (1936), pur risentendo di tutte queste istanze, non rimane prigioniero di esse. La sua anima si espande più libera a causa del suo equilibrio ritrovato.
Questo è il profilo umano e poetico del Di Petta che ci è dato cogliere a larghe mani nella sua poesia.
Lo stile e il linguaggio: La facilità di comprensione dei suoi versi non va fraintesa. Essa è dichiaratamente voluta e d’altronde è la tendenza comune degli scrittori di questo momento storico della letteratura postmoderna, - come viene definito da Walter Pedullà (1930), e da Jean Francois Lyotard (1928-1998) - non solo italiana, in cui i confini culturali di ogni paese hanno rotto gli argini. Oggi si legge tutto ciò che viene prodotto nel mondo in senso orizzontale, a 360°, e in senso verticale, dalle origini della storia ad oggi, in tutte le lingue, comprese le parlate gergali.
Anche per questo l’uomo è disorientato, sente che la verità è frantumata in diverse opinioni per cui sente il bisogno di raccogliersi in se stesso, nella sua interiorità, per meditare e comunicare ciò che ancora sente portatore di valori eterni.
Essendo il Di Petta un autore che ha speso la sua vita a vantaggio dell’educazione dei giovani, parla una lingua semplice, comune, sobria, chiara, che rifiuta ogni forma di ermetismo. Il postmoderno ha dato a tutti i linguaggi, nazionali e locali, uguale dignità letteraria.
Per quanto riguarda la lingua vi invito a leggere quanto ha scritto Bruno Baldini nella sua poesia “La parola” a pag. 147 del suo libro “Campuasce a fronte e limone”, volume II, per rendervi conto di quanti linguaggi si possono parlare con la parola, dal più basso, volgare, sporco e truculento al più alto, spirituale e divino.
Di Petta ha scelto una lingua nobile, dignitosa, capace di parlare a tutti gli uomini, grandi e piccoli, colti e incolti, senza la mediazione dei critici e dei commentatori professionisti.
- Preferisce usare frasi brevi,
- metafore di facile comprensione;
- versi, anch’essi brevi, divisi in sintagmi, o in parole singole, capaci di dare più respiro a chi legge.
- Le parole le trae con cura dall’uso comune, ma scelte con gusto, cercando la scorrevolezza,
- la sintassi è attenta alle assonanze, agli accenti, alle allitterazioni, agli enjambement per variane i ritmi e la tensione emotiva;
- perciò i versi suonano come musica, producono una sensazione di distensione e di piacere e creano pause che producono vibrazioni profonde nell’animo di chi legge.
C - Il significato del titolo, la struttura del libro e la lettura di alcuni testi.
L’autore parla di momenti di vita, attimi in cui i pensieri, i sentimenti e le sensazioni vengono illuminati da valori universali, in cui l’ispirazione della poesia lo esalta, lo avvince come per miracolo e, pur immergendolo nello spirito del mondo, gli fa dimenticare il tumulto epocale. Così fa anche Montale (1896-1981), nel suo secondo libro di poesie intitolato “Occasioni”.
L’ordinamento interno. L’autore divide le 97 poesie in quattro sezioni, ognuna con un titolo che dà senso a tutto l’insieme.
La prima sezione intitolata “Sull’altalena sfumano i giorni” di 31 poesie parla dell’altalena del tempo, scandita da giorni sereni e nebulosi, lieti e tristi, in cui ci fa sentire l’affanno e le preoccupazioni per i mali del mondo, la presenza angosciosa di quel tumulto che travia il cuore dell’uomo. Ricorda immagini, persone, luoghi, momenti, sensazioni, emozioni della sua vita, sottolineando la funzione del tempo che travolge ogni cosa. Ci parla di vita e di morte, di verità irraggiungibili, di amore, di sofferenze, di solitudine, di cattiverie, di nostalgia, di delusioni, di odio, di emigrazione, di speranza, di sogni.
Ed eccoci giunti ai testi
1 – La sezione si apre con la lirica, “Le torce del tempo”, nella quale aleggia il concetto oraziano e foscoliano della funzione eternatrice della poesia. Questo concetto lo esprime anche Montale quando dice:
“Non recidere, forbice, quel volto, \\ solo nella memoria che si sfolla, \\ non far del grande suo viso in ascolto \\ la mia nebbia di sempre.”
Nella poesia d’apertura che vi leggo è opportuno sottolineare due metafore: quella dello storico nella quale il Di Petta adombra l’immagine del poeta, per la identica capacità che hanno entrambi di scavare nel magma della storia e della coscienza l’essenza e i significati umani che vi si nascondono e quello dello scultore, novello Michelangelo, perché, come questi scolpisce modellando il marmo o il bronzo, anche il poeta modella le sue immagini per mezzo della parola affinché più a lungo non venga dimenticato ciò che ci è più caro nella vita.
E che cosa sono queste “torce del tempo” se non le realtà che rivelano con la loro luce i valori dell’uomo, quelle luci che illuminano il suo cammino, che rivelano al “periscopio dell’anima il perché di questo infinito andare?
“Fatti storico\\ del tuo paese: \\ consegnerai ai posteri \\ le torce del tempo. \\ Muti i luoghi \\ se la mano dell’uomo \\ non verga parole. \\ Si perderanno \\ i sospiri dell’uomo. \\ Paesi anonimi \\ nell’oblio di cippi \\ silenti. \\ Scolpisci sulla pietra \\ i segni del tempo.
2 – Segue la poesia ”Il domani” (14), nella quale appare la dicotomia con la quale il poeta rileva il contrasto che c’è tra la felicità degli esseri viventi di natura (il piccolo baio) e il tormento degli esseri umani, delle mamme per i figli (per la scuola, per la strada). Il poeta è tutto proteso a considerare il tormento del nostro tempo, il tumulto epocale. Al centro della sua attenzione è l’uomo del nostro tempo.
“Nubi a brandello \\ nel cielo di gennaio: \\ felice il piccolo baio \\ dell’erba novella \\ in terra di Campania. \\ Le mamme affannate \\ aspettano incerte \\ l’uscita dei bimbi da scuola. \\ Brulica \\ nel pantano di strada \\ il domani.”
3 – In “Oltre i confini del tempo” (33) però riesce ad innalzarsi oltre il confine che chiude tutti i nostri orizzonti. Con lo sguardo riesce a spingersi, con l’occhio dell’anima illuminata dalla fede, al di là della vita e ci rivela il suo ottimismo e la sua speranza. E’ un affresco di pensieri purissimi, stupendi.
“Chi di noi due \\ se ne andrà per primo \\ manderà all’altro \\ messaggi \\ sui raggi del sole_\\ Raccoglierà \\ un sospiro d’amore \\ nella notte \\ sul canto dei grilli \\ nell’onda del vento_\\ E poi avvinti \\ tra le stelle \\ oltre i confini del tempo _”
La seconda sezione intitolata “Il grido d’amore nel cuore” composta di 21 poesie è quella in cui l’anima del poeta esplode in grida di gioia, dove manifesta di più lo stupore che gli desta la bellezza e l’armonia della natura che gli fa dimenticare il tumulto epocale, ma non del tutto perché riemerge qua e là di tanto in tanto. Qui c’è la sua propensione a sognare, a rifugiarsi nella felicità spensierata dell’infanzia, nel calore della culla nativa, nel paradiso perduto del suo paese, nell’abbraccio dei suoi cari e dei compagni d’infanzia.
Il sogno è consolazione, contemplazione, speranza di un futuro migliore. La primavera è emblema della bellezza e della gioia che ci viene dal mondo, simbolo dell’incanto della vita, dell’esultanza della nascita, della felicità dell’infanzia. Gli uccelli rappresentano la tenerezza e la spontaneità dei sentimenti. C’è la malinconia della natura, il rimpianto di ciò che si è perduto, la felicità goduta in vista della bellezza e del bene vissuto. La donna è la compagna ideale della vita ed è triste vederla come fiore nel fango.
4 - Il poeta sente in ogni cosa palpiti di vita come nella poesia Sospiri (49):
“L’erba fresca \\ sfiorata dal vento \\ freme \\ come dolci pensieri \\ d’amore.”
5 – Vede l’eternità negli occhi di chi ama (59):
“Soli sulla sabbia \\ sotto il cielo di cobalto, \\ il profumo del mare, \\ un fremito d’ali, \\ il tuo sguardo nel mio: \\ è l’eternità.”
6 - Ne Il grido dell’amore(63), ci fa sentire la forza che spinge ogni creatura a vivere, a superare con gioia e affanno le difficoltà della vita; esprime il sentimento che unisce tutte le creature a Dio, come il canto di San Francesco.
“Vagavo sul fiume \\ in pensieri d’amore: rubavo fili d’argento \\ al barbaglio del sole \\ nello specchio eterno \\ dell’acqua. \\ Tra margherite ridenti \\ il grido d’amore \\ nel cuore d’ogni cosa : \\ portava argilla la rondine \\ alla gronda e fili di paglia \\ ed il salmone risaliva \\ la corrente fredda \\ del fiume alla sorgente.”
Anche qui il comportamento della rondine e del salmone, come in seguito quello della Gazza, rappresenta l’ansia della procreazione, l’attaccamento alla vita e al mondo, il trionfo dell’amore.
7 – Nella poesia Ancora non eri donna (58) sente il dolore di chi ci inganna nella vita, di chi produce preoccupazioni e sgomento.
“Danzavi \\ come farfalla \\ nel sole \\ candida \\ nel vento di maggio \\ profumato di rose. \\ Bagliori d’amore \\ negli occhi tuoi verdi \\ scintillanti di gioia \\ fra i boschi del Matese. \\ Ancora non eri donna \\ nel cuore \\ e sognavi. \\ I tuoi sospiri appassionati \\ li rapì il vento. \\ La vita ti rubò l’amore. \\ S’allungano i ricordi \\ come le ombre della sera.
La terza sezione intitolata “Tributi di lacrime e sospiri d’amore” accoglie 21 liriche, brevi e incisive come epigrammi.
8 - In “Ed è buio” (71) esprime quel pessimismo assoluto a cui accennavo, non dissimile da quello shakespeariano: “out, out, breaf candle, life but a walking shadow…” (Macbeth, atto V, scena V).
“Si consuma \\ lenta la vita. \\ All’ultima goccia \\ di cera, \\ lo stoppino si spegne. \\ Ed è buio.
9 - In “Come cani” (73), il pessimismo si fa spietato, terribile, richiama nella forma le favole di Fedro, nel contenuto il Leviathan, l’homo homini lupus di Hobbes:
“Un solo osso, \\ tanti cani famelici: \\ feroci, \\ s’azzannano. \\ Rigati di sangue, \\ i gracili soccombono. \\ E’ il destino dei deboli. \\ E gli uomini? \\ Graffianti come cani \\ per un misero osso.”
10 – In “L’attesa” (76) coglie il sentimento struggente dell’ignoto, della paura della delusione, della sospensione della speranza.
“L’attesa ti spinge \\ in abissi d’angoscia. \\ Sospiri, pensieri, ricordi. \\ Il tempo si ferma. \\ Attimi interminabili. \\ Ti muovi impaziente. \\ Tormento di penetrare l’ignoto.”
L’ultima sezione contiene 24 poesie. Si intitola “Fremiti di vita”. In essa lo sguardo si dilata sul mondo e il poeta si distende a trasmettere il suo messaggio di fede, di speranza, di solidarietà, di pace.
11 – Nella poesia “Bozzetto novembrino” (116) ammiro il dolce fluire del verso, l’armonia dei suoni e la compostezza della forma che ci fa pensare alla classicità. In essa si sente il vivo respiro del mondo e il pacato incanto della natura.
“Sui campi seminati \\ del Volturno \\ uscenti al mare, \\ trilla l’allodola \\ nel freddo sole di novembre. \\ Echi di spari \\ sordi risuonano nel piano \\ bruno di tramonto. \\ Uccelli cercano \\ rifugi notturni. \\ Delusa la stanchezza \\ della sera \\ ammanta di brume \\ la campagna oscura. \\ Tacito il mare \\ respira \\ gli umori della notte.”
Mi sia consentito a questo punto chiudere la rassegna con la lettura di due poesie tratte da altre opere del Di Petta che ritengo emblematiche sul suo discorso poetico perché evidenziano meglio il messaggio che vuole trasmettere a chi legge i suoi scritti.
12 - La prima, intitolata “Si può vincere”, (30) da Aspettando l’alba, perché è un inno per chi affronta la vita con coraggio. In essa il vento è la metafora della vita, la gazza lo è dell’uomo che onora le sue capacità naturali e affronta con coraggio le difficoltà che incontra:
“Il vento \\ non sa leggere \\ il dolore, \\ violenta le piante, \\ scuote rabbioso \\ cime di cipressi \\ svettanti nel cielo. \\ Mulina foglie \\ sull’arida terra, \\ picchia sulle rocce \\ dei monti, \\ precipita a valle \\ le nubi, \\ sferza con piglio \\ cattivo \\ la pioggia sui volti. \\ La gazza superba \\ danza \\ sulla cima del pioppo, \\ roca ed invitta.”
Il piccolo baio, la rondine, il salmone, la gazza sono esempi di vita, esseri viventi che mettono in atto tutte le loro facoltà per vincere le difficoltà di un mondo che non va visto come nemico, ma come bellezza, armonia della natura, perché come il vento esso non sa leggere il dolore, per poter proseguire sempre in cammino sul filo della vita.
13 – La seconda, intitolata “Amo”, (18) da Al Vertice tu, Signore, esprime al meglio il suo messaggio di fede.
“Amo i campi verdi \\ radiosi di speranza; \\ le creste dei monti \\ azzurrate di cielo, il mare sconfinato \\ all’orizzonte. \\ Amo la mia solitudine \\ fervida e pensosa. \\ Al vertice \\ amo Te, Signore, \\ luce della mia anima!”
Ecco tutto intero il messaggio di questa poesia: il mondo è bello, a volte sembra ostile, ma l’uomo deve essere forte, non deve perdere la sua bussola, mantenere saldamente la sua rotta per giungere là dove il destino lo chiama, al cielo, da dove ci giunge la tua luce, o Signore.
Chiudo così questa breve, e spero felice, presentazione, auspicando al nostro poeta, ancora una volta, una ulteriore fioritura di opere a nome mio e di tutti, non senza ringraziare
- voi tutti che siete convenuti qui per onorare questa manifestazione culturale fino in fondo;
- mio fratello Ugo, Presidente dell’Associazione “Francesco Iovine” organizzatore della manifestazione, per averci dato l’opportunità di questo incontro,
- la dottoressa Doretta Coloccia, giornalista della TV, per averne gentilmente accettato il ruolo di moderatrice,
- il musicista e poeta Aldo Ricciardi, del quale conservo con infinito amore il suo CD che mi fa sentire l’anima buona, seria, pensosa, sofferta del popolo molisano, che ci ha allietati con i suoi magnifici intermezzi musicali.
- Un particolare grazie naturalmente va a coloro che si interesseranno a leggere e approfondire il senso e la portata di questi testi per verificare e, se necessario, correggere il discorso or ora appena incominciato. Vi saluto.
17 – aprile - 2010
Filippo Leo D’Ugo