Ricordato Luluccio de Rubertis
BREVE MEMORIA di Nicolino DE RUBERTIS
 
Ringrazio il dott. Giuseppe D’Agostino per avermi invitato qui, questa sera, per ricordare l’amico comune, prof. Nicolino De Rubertis, che ci ha lasciato da circa un mese. La sua dipartita è giunta inaspettatamente, giacchè ci lasciammo, alla vigilia della sua partenza per Siena, tutto sommato in buone condizioni di salute, salvo  un po’ di tosse che gli arrecava un certo fastidio. E lui si recava nella bella località toscana per sentire il figlio medico, il dott. Giovanni, chirurgo urologo corresponsabile del dipartimento di urologia di quella struttura. Purtroppo da quella indagine risultava altro al posto di una semplice irritazione alla trachea.
Certmente ricordare un amico andato via di fresco è molto difficile, perché la sua morte ci ha lasciati scioccati tanto che ancora oggi ci sentiamo incapaci di ripercorrere le tappe salienti della nostra fratellanza e di trarne le conseguenze.
Sì, proprio della nostra fratellanza, giacchè io vedevo in lui, come sinceramente gli dichiarai, quel fratellino scomparso a soli 4 anni, tra la fine degli anni ‘20 ed il principio degli anni ’30, di cui mia madre spesso mi parlava; oggi quel fratellino avrebbe avuto proprio l’età di Luluccio, così come desiderava che gli amici stretti lo chiamassero.
Ricordo che ci conoscemmo una ventina d’anni addietro e fu un amico docente alla scuola media “Montini”, di cui il prof. De Rubertis era preside, a presentarmelo.
Per lungo tempo ci scambiammo solo il saluto. Fu poi, quando iniziai ad organizzare “Il Cafè Letterario” che l’amicizia vera e propria nacque e via via dipanandosi il filo dei rapporti crebbe, alimentata dal reciproco rispetto e dalla ammirazione per la sua personalità e per lo spessore culturale non ostentato, per le doti di umanità e di onestà… e i nostri rapporti divennero fraterni.
Detto questo, credo che voi, amici carissimi, vi aspettiate da me di sapere qualcosa in più su chi era Nicolino De Rubertis?
Ripeto così a fresco mi è difficile dire, ma posso provare a presentarvelo.
Nicolino De Rubertis, nasce 84 anni fa, in Lucito da una famiglia che esercita un’attività commerciale. Intelligente e vivace, dopo la scuola elementare, frequenta le scuole medie inferiori e superiori, diplomandosi con ottimi voti all’Istituto Magistrale di Campobasso.
Si iscrive alla facoltà di Lingue e letteratura straniera dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, uno dei più prestigiosi esistenti in Italia per quanto riguarda gli studi intrapresi e si laurea in Storia e letteratura straniera.
 Dopo di che si dedica all’insegnamento della lingua francese nelle scuole medie e superiori del Molise. Egli che di carattere è molto gioviale subito instaura rapporti cordiali coi suoi allievi, che trovano in lui un carisma particolare che non si esurirà col corso degli studi, ma andrà oltre nel tempo, sicchè ogni giorno che si usciva insieme dovevamo soffermarci coi suoi ex alunni che gli venivano incontro a salutarlo.
E questo lo gratificava.
Nel frattempo, consigliato da un suo zio molto facoltoso, iniziò pure a curare una attività commerciale di rappresentanza, che gli consentiva di fare una vita più dignitosa, giacchè ricordiamo tutti quanto bassi fossero gli stipendi degli impiegati pubblici all’epoca ed in particolare dei docenti, che in maggioranza erano incaricati, quindi non di ruolo.
E nonostante i suoi maggiori impegni, non cessò mai di arricchire il suo bagaglio culturale che mise a disposizione dei giovani, per cui devo dire pure che Luluccio fu un uomo non solo dotato di una forte carica di umanità che spese più volte in aiuto di chi ne avesse bisogno, ma fu soprattutto un uomo onesto: Onesto nella morale, onesto nel lavoro, onesto come cittadino.
La sua moralità è indiscussa. Non diede mai adito che qualcuno potesse dubitarne; non profittò mai di nessuno e fu anche prodigo di beni e di consigli e di servigi nei riguardi del prossimo suo.
Fu un onesto lavoratore. Egli profuse tanto zelo nella sua attività di docente, non disgiunta da quella carica di umanità che gli consentiva di capire al meglio i problemi delle giovani generazioni che in oltre quarant’anni di carriera gli si avvicendavano nel corso del suo percorso lavorativo che lo portò fino alla carriera di Preside.
E qui, in questa veste, ne diede maggiore dimostrazione, promuovendo l’inserimento dei disabili nelle attività didattiche, disabili che tutti rifiutavano, ma che egli fece accettare , convincendo docenti e famiglie nella scelta, mettendo in luce che la loro integrazione fosse una ricchezza e non un degrado.
E le famiglie lo ringraziarono, con il loro affettuoso rispetto.
Come cittadino ebbe rispetto degli interessi della collettività, delle istituzioni; non si appropriò di nulla che non gli spettasse e si prodigò sempre perché fossero rispettati i diritti di tutti, specie dei più deboli, a cui non fece mancare mai il proprio aiuto.
Fu pure ascoltato e rispettato amministratore di Lucito; fu presidente onorabile della Provincia di Campobasso ed in tale veste spese molte energie per l’istituzione di servizi e per il completamento della viabilità, realizzando alcuni rami della Garibaldina e della Galdina, importanti vie di collegamento a paesi che una volta si sentivano isolati ( vedi Monacilioni, per ricordarlo a Saverio, che gli fu tanto amico).
Egli amò la famiglia, in primis, come marito e come genitore dei suoi due splendidi figli: Giovanni e Mariella, il primo medico, la seconda biologa. Ed era nonno affettuoso di altrettanti nipoti.
Ma il più grande amore di Nicolino de Rubertis fu la sua Lucito. Tutto quanto poteva, faceva per Lucito. Lucito al centro del Molise; Lucito al Centro dell’Italia; Lucito al centro dell’Europa. Poi l’Italia. Io non so se tutti i lucitesi abbiano capito questo grande amore che Luluccio nutriva per il suo paese, tanto che non c’era articolo o storia che lui non profittasse ad inserirlo per metterlo a centro della discussione, reclamando anche il diritto di vedere realizzato un pezzetto di strada, di circa 4 km., che l’avrebbero affrancato dall’isolamento, consentendo le comunicazioni e i traffici tra i paesi del vicino Abruzzo e la via del mare e del foggiano.      
E così nacquero anche le opere da lui scritte: “Il Molise visto da Lucito”, 1° e 2° tomo, “Il Molise, l’Italia e l’Europa”: opere originali da cui emergono tutta una serie di notizie e di personaggi, che presi isolatamente non avrebbero significato, invece ancorati ai grandi eventi storici, concorrono a comprendere meglio l’intimo significato.
E che dire di “ Filosofia popolare”, altra pubblicazione, in apparenza barzellette, ma in fondo in fondo anche questa, storia popolare che serve a comprendere l’humus di cui si compongono i nostri poveri paesi. Vedete, spesso siamo abituati ad intendere la storia, solo come lo studio dei grossi avvenimenti politici e militari, trascurando che di storie ce ne sono tante ( quella industriale, quella della ricerca scientifica, quella dello sviluppo sociale, l’antropologia) e queso testo di “Filosofia popolare” non è altro che un contributo dato per capire l’uomo, direi metaforicamente il povero uomo, quello qualunque propprio come noi stessi, che incontriamo quotidianamente sui nostri passi. L’uomo qualunque, quello che ogni giorno deve inventarsi la vita.
E spesso, nei suoi discorsi Luluccio citava qualche simpatico aneddoto contenuto in questo volumetto. Uno di quei fatterelli che raccontava con piacere, era quello di quando fu chiamato da un certo compare Luigi, perché si armasse di chitarra e si recasse con il suo amico violinista Meliucce, a suonare in casa sua perché la moglie < Seppa > era stata morsa dalla tarantola e solo il suono poteva guarirla. E come godeva alla fine quando raccontava che questa donna Seppa, grossa come una mucca, al canto di “Speranze perdute “ s’era assopita, senza che loro se ne accorgessero, impegnati a scolarsi un fiasco di ottimo vino. Questa non è solo una storiella ridanciana, ma rappresenta anche un piccolo aneddoto che testimonia la credenza popolare negli incantesimi e nelle stregonerie, a cui il popolo da tempo immemorabile ha dato credito.
E quando ricordava di un certo medico che al passaggio di un funerale, rivolgendosi a lui e all’altro amico col quale si accompagnava, disse: “ Questo l’ho curato io! “… e via a ridere. Quindi battute semplici ma piccanti, capaci di far sorridere, ma anche riflettere.
E quanto successo ebbe per quel “Testimonianze di tre deportati dai campi di sterminio nazisti” che ha portato in tutte le scuole del Molise e che del suo alto valore civile, umano e storico ne ha parlato anche il Corriere della Sera, riportando un discorso del Presidente della Repubblica! A proposito di Repubblica, pochi sanno che egli fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica per i suoi meriti culturali, scolastici e politici. Ma questo lo sapevano in pochi intimi.
Egli, nelle sue opere, ha avuto la capacità di rendere comprensibili i grossi temi, grazie alla sua grande esperienza didattica ed educativa: infatti il suo discorso non si arrestava alla pronuncia di qualche proposizione: egli doveva scomporla, analizzarla, semplificarla fino a renderla comprensibile all’interlocutore con una serie di esempi diversi e sempre ben calzanti, come Voi stessi avete potuto notare nei tanti interessantissimi incontri che Lui ha avuto qui, in questa sede. Qui da Voi veniva con piacere; Vi voleva tanto bene.
Scrisse anche una fortunata Grammatica Francese, che è ancora adottata in qualche parte remota del nostro paese.
Ultimamente aveva rielabrato il testo di “Filosofia popolare” e stava per ripubblicarlo; ma il fato non glielo ha consentito.
Vorrei dire ancora tante altre cose di lui, ma è ancora fresca la ferita che offusca il rimestare dei ricordi. Che altro dire? Se non che ci ha voluto bene.
Io lo ringrazio innanzi tutto per la stima che mi ha accordato, per l’onore che mi ha dato, citandomi in tante occasioni ed inserendo mie poesie in alcuni suoi scritti; lo ringrazio pure per essermi stato a fianco nella fondazione dell’Associazione “F. Jovine” onlus, che io ho voluto e che lui ha sostenuto più di pochi altri.
   Io lo ringrazio per i bei momenti trascorsi insieme e lo addito a Voi tutti perché ne conserviate la memoria, la memoria dell’uomo pieno di umanità che qui, in questa splendida sala ha saputo farvi vivere i sentimenti più delicati e significativi dei grandi poeti del passato, da Dante a Manzoni , a Leopardi fino ad Altobello e al Totò della “Livella”. Ricordiamolo nelle nostre preghiere. Grazie e chiedo scusa se sono stato un po’ più lungo.

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